MILANO – Si potrebbe profilare una soluzione giuridica per la lunghissima controversia del popolo Saharawi: questa la prospettiva emersa oggi a Palazzo Pirelli durante il convegno sulla situazione del Sahara Nord occidentale. L’incontro ha ripercorso le tappe del difficile e non concluso percorso di decolonizzazione dell’ex patronato spagnolo. Ancora oggi la popolazione vive ostaggio della dominazione straniera, addirittura segregata da uno dei muri più lunghi ora esistenti, 2. 720 km di lunghezza, con torrette di presidio e marcato da mine anti uomo.
“La situazione del popolo Saharawi rappresenta un caso emblematico della nostra epoca, ancora dominata dalla costruzione di muri che non sono di difesa ma strumenti di oppressione e di emarginazione – ha sottolineato nel suo intervento Carlo Borghetti (Pd), vice presidente del Consiglio regionale della Lombardia -. La situazione del Sahara Nord occidentale rappresenta una tra le diaspore più lunghe della storia: con l’iniziativa di oggi abbiamo voluto compiere un gesto simbolico per alzare il velo di complicità e di silenzio che avvolge la vicenda, nella speranza di contribuire a rimettere in moto un processo di riconoscimento giuridico. E’ importante tenere alta l’attenzione della comunità internazionale”.
La svolta giuridica che potrebbe portare di nuovo la rivendicazione all’autodeterminazione del popolo Saharawi al centro dell’attenzione internazionale viene da una recente “advisory opinion”, un parere consultivo della Corte internazionale di giustizia. Come illustrato da Nerina Boschiero, Presidente della Facoltà di Giurisprudenza e docente di Diritto pubblico Italiano e sovranazionale all’Università Statale di Milano, la Corte ha stabilito che “il diritto all’autodeterminazione è norma di diritto internazionale generale, fondamentale e di carattere universale. Il che implica che tutti la devono rispettare e tutti possono chiederne il rispetto. Di conseguenza, se non si conclude il processo di decolonizzazione si sta violando il diritto internazionale perché si sta violando il diritto fondamentale del popolo all’autodeterminazione. E questo è il caso del popolo Saharawi”.
La delicata situazione umanitaria dei campi profughi è stata al centro del racconto di Dahan Abdelfatah Aali, rappresentante per il Nord Italia del Fronte Polisario, il movimento di liberazione nazionale dell’ex protettorato spagnolo. L’esponente ha rimarcato come, accanto alle precarie condizioni di vita, si stia diffondendo tra i giovani un senso di delusione e di frustrazione molto pericoloso perché spinge le nuove generazioni verso scelte estremiste e violente.
Altro snodo fondamentale della vicenda, vero fulcro della controversia internazionale, riguarda lo sfruttamento delle enormi risorse naturali della zona: dalla pesca – la costa è infatti una delle più pescose del mondo, alle riserve di fosfato – le terze più ricche, al vento – che diverse compagnie sfruttano per produrre energia eolica. Per sostenere e avviare progetti di occupazione ed economia locale autonoma, l’Associazione Africa 70, grazie a bandi di cooperazione, ha avviato diverse opportunità nei campi profughi. Come riportato da Sara Di Lello, responsabile tecnico dei progetti per la ong, sono attivi diversi programmi di agricoltura sostenibile, con il coinvolgimento delle donne, di sostegno alla pastorizia che non può più essere nomade e di sicurezza alimentare, per arginare diabete e celiachia in forte aumento.
“E’ importante portare questi temi all’interno delle nostre istituzioni perché si svolga una riflessione non solo etica ma soprattutto politica sulla necessità di garantire il rispetto del diritto – ha detto la Presidente della Commissione speciale Antimafia, Monica Forte (M5S), concludendo i lavori del convegno -. Solo mantenendo la legalità evitiamo il degenerare della violenza e della sopraffazione. Gli interessi economici non possono prevalere sui diritti umani: ne va del futuro di molte persone e del mondo intero, cui anche noi siamo chiamati a rispondere in nome del comune senso di appartenenza alla grande famiglia umana”.