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Big Eyes – la recensione

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Nell’America degli anni ’50 la giovane pittrice Margaret (Amy Adams) subisce lo stigma di un divorzio allora scandaloso dal primo marito e il pericolo di vedersi portar via la figlia. Decide quindi di sposarsi con l’affascinante Walter Keane (Christoph Waltz), anche lui artista dilettante, dalla personalità carismatica e dall’inesauribile voglia di sfondare.
Quando il marito riesce a piazzare i suoi quadri di orfanelli dai grandi occhi a una clientela sempre più entusiasta spacciandoli come propri, la neo signora Keane scopre i lati oscuri del suo carattere e viene coinvolta in una raggiro sempre più gravoso per lei come artista e madre.

Big Eyes come film biografico è un disastro, poco più di una produzione televisiva dalla sceneggiatura trita e retorica, incapace di dare profondità e ambiguità al personaggio di Margaret (ritratta come la povera donna inerme e facilmente manipolabile, salvata dai testimoni di Geova!) senza renderne il marito grottesco e macchiettistico, consegnandoci una delle più brutte interpretazioni di Christoph Waltz.

Amy Adams e Krysten Ritter sono adorabili ma non possono salvare questo nuovo lavoro di Tim Burton dall’essere un’inesorabile metafora del regista in crisi d’ispirazione che è oggi, che plagia i suoi primi, splendidi lavori, ma senza un briciolo dell’ispirazione e della genialità che li avevano caratterizzati.

Il consiglio de Il Fuoriporta? Lasciate perdere.

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