SARONNO – L’input viene dai dubbi espressi oggi dal presidente del consiglio di Regione Lombardia, “Ats Insubria troppo estesa, dobbiamo tornare a una Ats comasca” ha detto. E dunque, se tornerà una Ats comasca, ce ne sarà una varesotta, ed a Saronno in molti ricordano ancora i tempi di una maggiore autonomia locale, con l’allora Ussl.
“L’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto e sofferto in questi mesi ci obbliga sicuramente ad alcune riflessioni sull’organizzazione dei servizi sociosanitari territoriali ed è con interesse e grande attenzione che ho seguito in questi giorni il dibattito che si è sviluppato su questo tema sia in ambito medico che politico lariano. Credo però necessario fare un ragionamento complessivo e dare vita a un dibattito costruttivo, senza limitarci soltanto a elencare le eventuali carenze o quello che non ha funzionato al meglio: se vogliamo fare tesoro delle esperienze di questi mesi e trarne insegnamento per il futuro, dobbiamo sforzarci di guardare in prospettiva, ricercare e indicare possibili soluzioni, integrazioni e correttivi. Abbiamo vissuto una situazione eccezionale, che ci ha messo a dura prova, ma che ci ha anche dato indicazioni utili su cui dobbiamo riflettere per farci trovare ancora meglio preparati qualora dovessero ripetersi eventi e calamità di simile portata. È tempo che anche la sanità lombarda e quella lariana comincino a entrare nella “Fase 2” e che lo facciano senza timori e retropensieri, ma con la massima serenità e trasparenza”. Lo sottolinea il presidente del Consiglio regionale della Lombardia Alessandro Fermi, che coglie l’occasione per cominciare a lanciare e suggerire alcuni contributi e spunti di discussione e confronto.
“Sicuramente va ripensato l’azzonamento territoriale delle Ats: in particolare l’Ats dell’Insubria per la sua eccessiva estensione territoriale e per il numero di cittadini ricompresi ha constatato l’impossibilità di poter governare in modo adeguato un ruolo di coordinamento efficace e puntuale. È utile quindi riflettere su un ritorno a una Ats Lariana che abbia Como e la sua provincia come unico ambito di competenza. A questo, in prospettiva, credo poi si possa accompagnare una progressiva dismissione da parte delle Ats delle attività a gestione diretta con il contestuale sviluppo di una pluralità di erogatori pubblici e privati in grado di gestirle. Tale processo potrebbe ulteriormente perfezionare la rete di offerta delle Asst”. “La crisi epidemiologica -aggiunge Fermi- ha evidenziato anche la necessità di ricomporre la filiera erogativa delle prestazioni sanitarie, con particolare riguardo all’ambito di igiene e sanità pubblica. Credo opportuno, pertanto, che le strutture operative afferenti al “Dipartimento di igiene e prevenzione sanitaria” transitino nell’asset organizzativo delle Asst, peraltro, già attivate su questo versante come dimostrano le attività vaccinali e di medicina legale. La ricomposizione delle dinamiche ospedaliere – territoriali e la revisione dell’area delle cure primarie potrebbe trovare un ulteriore elemento di potenziamento nel trasferimento del “Dipartimento delle cure primarie” nel contesto organizzativo delle Asst. Le Ats, liberate dalle competenze erogative, potrebbero a questo punto focalizzarsi sui profili di analisi della domanda, sulla committenza dei servizi in ambito territoriale ed essere sempre più autorevoli garanti dei processi di accreditamento e controllo in stretto raccordo con l’Agenzia regionale dei controlli”.
Altro aspetto fondamentale sottolineato da Fermi è la riorganizzazione della medicina del territorio che parta da un rinnovato patto con i medici di base, quelli della continuità assistenziale e i pediatri, presidio fondamentale e indispensabile della sanità territoriale. “La medicina generale deve tornare a essere il vero fulcro intorno a cui far ruotare l’assistenza sanitaria svolgendo in modo efficace il ruolo di filtro per la sostenibilità dell’assistenza ospedaliera. Fondamentale sarà liberare questo comparto sanitario dalla burocrazia che negli ultimi anni ne ha mortificato il ruolo così come aumentare ulteriormente le borse di studio per favorire l’accesso alla professione che rischia, tra pensionamenti e carenze di organico, di portare il medico di medicina generale alla soglia di 2 mila mutuati cadauno”.
“A tal proposito ritengo necessario affrontare il tema e il ruolo delle “Cooperative” di medici di medicina generale. Questa singolare modalità associativa potrebbe presentarsi come una vera e propria unità d’offerta nello scenario delle cure primarie, valorizzando il profilo neo imprenditoriale dei professionisti che vi aderiscono, ed avendo quale finalità quella di erogare servizi a favore degli stessi. La necessità di rinsaldare un patto di collaborazione deve avere ovviamente il presupposto del riconoscimento di un ruolo attivo del governo regionale da affiancare a quello dettato dal carattere nazionale dell’attuale convenzione. Altro tema da approfondire investe sicuramente anche il ruolo dell’infermiere con particolare attenzione al progetto dell’infermiere di famiglia sui cui già da tempo sono in corso alcune riflessioni e approfondimenti”.
Ultimo aspetto sollevato dal presidente del Consiglio regionale riguarda infine il ruolo dei sindaci. “La situazione di emergenza che abbiamo attraversato ha fatto chiaramente capire che nella gestione sociosanitaria serve un maggiore e più diretto coinvolgimento dei sindaci, anche a livello operativo e decisionale. Ricordando che il Sindaco è autorità sanitaria locale e sottolineando l’importante e apprezzato lavoro che hanno svolto in questi mesi, è evidente che, in un ottica di rafforzamento della sanità territoriale, va ripensato il loro ruolo attribuendo loro non quello limitato ad un apporto consultivo una tantum, ma bensì di compartecipanti al governo della sanità territoriale”.
03062020