VARESE – La chiusura alle 18 della ristorazione provoca effetti a catena per il sistema agroalimentare, pesando anche sulla bilancia produttiva del made in Varese. Lo rileva la Coldiretti provinciale, rimarcando come lo stop pomeridiano anticipato alle attività di ristorazione e il conseguente crollo delle attività di tutte le attività connesse hanno un effetto negativo a cascata, con una perdita di fatturato stimato in oltre un miliardo in Italia per le mancate vendite di cibo e bevande nel solo mese di applicazione delle misure di contenimento. È quanto emerge da un’analisi di Coldiretti, rispetto al nuovo Dpcm, circa l’impatto sull’intera filiera agroalimentare della chiusura dei locali di ristorazione disposta dal decreto, oltrechè dalla chiusura degli uffici.
“Un drastico crollo dell’attività che pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari made in Varese, dai formaggi ai salumi, dalla carne al vino, ma anche frutta e verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco” spiega Fernando Fiori, presidente di Coldiretti Varese. “Le limitazioni alle attività di impresa devono certamente prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di stato. Ai cittadini e agli operatori economici chiediamo di aderire con atti concreti alla campagna di mobilitazione #MangiaItaliano, privilegiando negli approvvigionamenti cibi 100% Made in Varese e Made in Italy” aggiunge il presidente Fiori. Il pensiero corre indietro di mesi, allo sforzo enorme fatto dalle imprese agricole lariane per assicurare le forniture alimentari nel periodo di lockdown: un flusso di consegne ininterrotto ha consentito di mantenere sotto controllo i prezzi dei generi alimentari che non sono “schizzati alle stelle” nelle settimane primaverili di chiusura forzata: “Il lavoro delle imprese agricole e degli allevatori è stato continuo e, di conseguenza, non c’erano ragioni per un aumento dei prezzi al dettaglio. Ciò detto, abbiamo visto che ci sono stati considerevoli aumenti allo scaffale, ad esempio, per alcune tipologie ortofrutticole, come mele e patate, che sono aumentate del 4%. Ma nulla è andato all’agricoltura. Ma non solo al tessuto alimentare occorre guardare, dato che a pagare un prezzo carissimo, in primavera, sono state le imprese florovivaistiche, costrette a gettare i loro fiori: è uno scenario che va assolutamente evitato. E’ importante ricordarci di questo ogniqualvolta, anche in questi giorni, ci si reca a fare la spesa: salvare la nostra agricoltura è un atto che parte dalla spesa consapevole dei cittadini. E tutti, insieme, possiamo fare la nostra parte per superare anche questa nuova fase di emergenza”.
28102020