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Southpaw – la recensione

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Il regista di Training Days Antonio Fuqua e il creatore di Sons of Anarchy Kurt Sutter portano nelle sale italiane l’ultimo ambizioso tentativo di raccontare su grande schermo il mondo della boxe senza sconti.

Trasformato nel fisico, sottoposto a massacranti allenamenti e restio all’utilizzo di controfigure, Jake Gyllenhaal è Billy Hope, un pugile mancino che sostituisce a una certa mancanza di tecnica difensiva una coriacea resistenza ai colpi avversari. Assistito dall’amorevole e capace moglie (Rachel McAdams) Billy è ricco, imbattuto, amato dalla sua famiglia. Quanto tutto comincia a sgretolarsi il ragazzino uscito a suon di pugni dall’orfanotrofio e della povertà dovrà trovare un nuovo modo di boxare per ottenere il suo riscatto definitivo.

Seppur sostenuta dalla solita ottima performance di Gyllenhaal e dal supporto di tanti attori capaci (McAdams e Whitaker su tutti), Southpaw delude in quello che dovrebbe essere il suo punto di forza: la scrittura sportiva. Certo, gli incontri sono ritratti con grande realismo e sono appassionanti, ma la strada per arrivarci è troppo lunga, troppo banale, incapace di suonare realistica come un documentario o carismatica come le grandi pellicole del genere. Comunque un buon film per chi ama lo sport al cinema o nella vita, ma non imprescindibile per gli altri.

Southpaw sarà nelle sale italiane a partire dal 2 settembre. 

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