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Sant’Antonio: tanti falò, a Varese e in provincia

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VARESE – Una ricorrenza cara al mondo agricolo, ma non solo. La festa di Sant’Antonio Abate, infatti, è entrata da tempo immemorabile nel cuore dei varesini che ne mantengono intatte le tradizioni, come quella del falò. E così anche la città di Varese attende per domani sera l’inizio delle celebrazioni nella chiesa a lui dedicata.

Il tradizionale “falò” della Motta è uno degli eventi più importanti e noti tra le celebrazioni in onore del santo nato in Egitto, che si susseguono in tutta Italia: la ricorrenza cade il 17 gennaio, ma a Varese il calendario degli eventi inizia oggi (mercoledì 16) con la prima messa alle 10 e la benedizione delle candele, seguita alle 21 dall’accensione del falò di Sant’Antonio alla presenza delle autorità cittadine. Giovedì 17 il programma è ancora più intenso: messa alle 8, 9, 10 e 18, oltre alla celebrazione eucaristica solenne delle ore 11 alla quale farà seguito la Benedizione degli animali e dei pani e il lancio dei palloncini.

“E’ una festa che ogni paese rurale, dalle Prealpi alla pianura, vivrà con la Messa e la partecipazione degli agricoltori, con i loro mezzi agricoli e i loro animali” dice il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori. Agricoltori e allevatori si ritroveranno quindi nei rispettivi paesi e parrocchie per celebrare una festa di antica origine e ancor oggi celebrata come un tratto d’unione tra le generazioni che operano nel settore primario: molte, infatti, sono le chiese dedicate a Sant’Antonio Abate in tutta la provincia, da Olgiate Olona a Saronno, da Gallarate a Cuasso al Monte, e ancora Busto Arsizio, Sesto Calende, Ferno ed anche in altre località. E sarà festa anche a Roma, cuore della cristianità: per la festa del patrono degli animali arriveranno giovedì (dalle 9.30) in piazza San Pietro mucche, asini, pecore, maiali, capre, cavalli, galline e conigli delle razze più rare e curiose salvate dal rischio di estinzione dagli allevatori italiani che in migliaia da tutta la Penisola invadono la Capitale per iniziativa dell’Associazione italiana allevatori (Aia) e della Coldiretti.

L’iconografia raffigura sempre un porcello munito di campanella a fianco del santo egiziano: la leggenda vuole che il porcellino sia stato “complice“ nell’aiutare Sant’Antonio a rubare il fuoco degli inferi per donarlo al popolo, che soffriva il freddo. La storia, invece, ricorda che i canonici di Sant’Antonio avevano ottenuto il permesso di allevare i maiali all’interno de centri abitati: il grasso di maiale era infatti utilizzato come emolliente per le piaghe provocate dal “fuoco di S. Antonio”, che l’ordine curava negli hospitii od ospedali che era deputato a gestire. L’Ordine antoniano lasciò, dunque, traccia del suo passaggio attraverso una serie pressoché infinita di ospedali (tutt’oggi dedicati al Santo) presenti anche sul territorio della nostra provincia.

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